L'accertatore di tracce
Biografia!
Quanto il fascino del
promontorio del Gargano sia stato determinante per la
fisionomia artistica di Michele Circiello non è
difficile capirlo, se si considerano le tappe pittoriche, le
motivazioni profonde di una ricerca interessante e
coraggiosa.
L’odierna tematica delle opere del Circiello è
originalissima e s’impernia sostanzialmente su una scelta
specifica: l’ambiente naturale e l’uomo, che in questa
realtà è vissuto, perfettamente integrato in essa. E un
punto d’arrivo, una meta raggiunta, ma anche la base per
nuovi avvii, per ricerche più specifie, per fissare
traguardi nuovi.
Michele Circiello, allievo del maestro Cantatore, esordiva
negli anni ‘70 con una pittura essenzialmente figurativa. I
temi erano legati alla realtà ambientale, sociale in ispecie.
Preso in esame, infatti, il paese del Subappennino,
Circielio focalizzava la vitalità umana del piccolo centro,
estraendo quei valori morali, sentimentali e poetici, ancora
caratterizzanti l’ethos locale. L’indagine si soffermava
altresì sulla pesante crisi economico-sociale, che aveva
colpito i paesi montani della Daunia e che aveva determinato
una massiccia emigrazione di quelle forze ancora valide,
uomini e giovani, che avevano, che avevano abbandonato
l’infruttuoso lavoro dei campi. Emergevano nelle tele quegli
sguardi vaghi, sottilmente languidi delle donne, dal volto
aggrinzato di mestizia per il marito lontano, per il figlio
assente. Tuttavia si leggeva su quei volti anche l’eroica
attesa di un ritorno, la dignitosa forza morale, la
rassegnata accettazione di un destino insospettato.
Sono opere di indiscusso valore poetico quelle tele, pregne
altresì del giovanile entusiasmo del Circiello per i
problemi della propria terra, ma sono anche documenti di un
disagio sociale, una denunzia della realtà ambientale.
Quelle opere costituiscono il primo aspetto della poetica
circielliana: il legame serrato, profondo, indissolubile
dell’artista con il suo ambiente, per cui l’indagine, sia
essa concreta o speculativa, deve esaurirsi prevalentemente
nel proprio ambito territoriale, paesaggistico,
socio-culturale.
Nell’anno scolastico 1973/74 Michele Circiello, quale
docente di educazione artistica nelle ScuoMedie, riceve
l’assegnazione della cattedra a Vieste. Qui, inizialmente
disambientato, pare che abbia esaurito la sua vena
artistica. Dopo qualche mese, però, il Gargano, quest’aspra
penisola dauna dalla natura incontaminata, lo conquista. Non
poteva essere altrimenti per un animo sensibile, che suole
scuotersi finanche per un modesto cespo d’erba.
Il Gargano, lo Sperone
d’Italia, che giganteggia fra la distesa del Tavoliere e
l’Adriatico, seduce — sia detto per inciso — per le sue
rocce cavernose, per il disteso ammanto arboreo (si pensi
alla così detta Foresta Umbra), seduce per l’immensità
dei suoi orizzonti, per la dimensione reale che si fa
trascendente quando lo sguardo con impercettibile motilità
trascorre dal mare, o dalla caligine della piana dauna, al
cielo. Il contraddittorio, l’antitetico sembra essere la
norma sul promontorio dauno: così la natura riceve la lieve
carezza di zefiro, ma anche le gelide sferzate della bora,
il ridente solleone d’estate e il freddo manto nevoso
d’inverno. L’ambiente è, però, ricco di fascino e perfino di
un non so che ascetico, di mistico: la grotta dell’Arcangelo
Michele e gli antecedenti culti pagani, come il rito
podalirico dell’incubazione, ne sono un chiaro attestato. Il
Gargano è depositario altresì di tracce eloquenti del più
lontano capitolo della storia dell’uomo, anzi della sua
preistoria. La grotta Paglicci, per esempio, è tra i più
importanti siti paleolitici d’Europa: ha restituito le ossa
di “nonna Alarda”, vissuta 24.000 anni fa, numerosi reperti
litici ed ossei, molti incisi, e le pitture, tra le più
antiche d’Italia, di rilevante interesse.
Michele Circiello nei brevi pomeriggi invernali, nelle
ariose domeniche primaverili diventa erabondo, osserva la
natura incontaminata, gusta l’elegia del paesaggio, si
sofferma su quei segni di vita vegetale, su quegli aspetti
diremmo minori, come una crepa, una venatura, una muffa, un
ciuffo di licheni, una macchia di muschio. Circiello diventa
cosi l’accertatore di tracce.
Di quali tracce!? Quelle del tempo e dell’uomo. Trasferisce
sulla tela con un tocco di eleganza con una sintesi
efficacissima quelle note paesaggistiche del Gargano per
ambientare le gesta, le vicende di caccia dei suoi omini
preistorici, essenzializzati da semplici tratti, ma vivi e
scattanti al pari della fauna coeva. L’immaginazione
dell’artista, quindi, anima, integra l’habitat naturale del
promontorio dauno. E' la prima fase di questa svolta
artistica circielliana.
Ben presto l’accertatore di tracce non s’appaga più della
rappresentazione della realtà gargani ma, in linea con le
istanze più recenti dell’arte moderna, interviene nella
natura stessa, sulla roccia stessa, senza forzature,
proponendo quindi, anche l’arte del gesto. Con gessetti e
pennarelli aggiunge il suo tratto delicato e discreto, marca
o allunga la crepa, disegna l’omino, stinge il grigio
calcareo della pietra Nasce così la “fotopietra”, la foto —
non più la pittura ad olio soltanto — la foto che ritrae
l’intervento pittorico sulla roccia e l’artista stesso: è
estetico ciò che fa l’artista, il suo gesto e non soltanto
la riproposta della realtà ambientale.
Parallelamente la tela del Circiello si arricchisce dal
punto di vista materico: la tecnica si fa mista e ingloba
sabbie, schegge e sassolini della zona. E' questa la seconda
fase “garganica” dell’attività artistica del Circiello.
Intanto il legame di filianza con questa Terra aspra, ma
ricca di fascino, diventa sempre più stretto. Michele
Circiello ricerca, ricerca ancora, ricerca e trova le tracce
dell’uomo preistorico e protostorico: nascono così le stele,
liberamente ispirate a quelle sipontine del Museo Nazionale
di Manfredogna.
La ricerca del Gargano continua, orientata sull’uomo
troglodita della preistoria e del medioevo. Circiello scopre
così le chiese rupestri (un patrimonio artistico in rovina)
e coglie le visioni di quegli affreschi mistici, di quelle
icone ancora solenni, pur nel loro stato frammentario.
L’umidità ha stinto le immagini sacre, che, in perfetta
simbiosi con l’ambiente, presentano un manto cromatico
insolito, trapunto di muffe vive, di ossidi variegati, di
concrezioni calcaree. Nascono così, sempre in tecnica mista,
le icone e le “lunette” circielliane, che ripropongono non
solo, non tanto le immagini sacre in se, quanto la
suggestività, la poesia del loro stato reliquiale.
L’aspirazione del Circiello è altresì l’esposizione delle
sue opere in un ambiente naturale, in un sito archeologico,
confacente ai temi trattati, così che l’osservatore possa
cogliere la continuità tra passato e presente e la simbiosi
tra ambiente ed opere. Il pittore punta l’attenzione sulla
necropoli rupestre della Salata, detta anche di Merino, in
territorio Viestano.
Definita dagli studiosi una delle aree archeologiche più
suggestive e monumentali del Gargano paleocristiano, la
necropoli è sita ad 8 Km dall’abitato odierno e a poche
centinaia di metri dai ruderi dell’antica Merinum e dal
santuario mariano omonimo. L’incanto del luogo si spiega per
l’interesse dell’area archeologica, ancora pregnante di
religiosità cristiana, si giustifica per la vaghezza del
mare, per l’odorosa macchia mediterranea, che riesce ad
addolcire l’asprezza dei costoni rocciosi. Connotano la
necropoli centinaia di tombe e diversi ipogei, che
presentano una rete fittissima di loculi alle pareti,
pausate da eleganti arcosoli.
Nell’estate 1988 Michele Circiello allestisce così negli
ipogei di Merino la sua personale pittorica e scultorea. E'
un successo! Le opere non turbano il silenzio venerando del
luogo, tuttavia riescono ad animare la necropoli, che pare
abbia scosso il suo torpore millenario, restituendo dai
tempi storici e preistorici immagini larvali di uomini e di
santi.
Leonardo De Luca
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